Dominica III in
Quadragesima
Suore Francescane
dell’Immacolata
Frattocchie, IT
Gesù
avrebbe potuto trattarci come soldati, forti membri del Suo esercito, grande e
belli protettori del castello Suo. I Militari sono i più bravi ed onerati nella
società, lodati per i suoi virtù e sotto il loro potere cresce la società e la
sua pace. Infatti, S. Paolo lo dice «prendi anche tu
la tua parte di sofferenze, come un buon soldato di Cristo Gesù. Nessuno però, quando presta servizio militare,
s'intralcia nelle faccende della vita comune, se vuol piacere a colui che l'ha
arruolato» (2 Tim 2,3-4). E Gesù lo conferma «Pensi forse che io non possa
pregare il Padre mio, che mi darebbe subito più di dodici legioni di angeli?» (Matt 26,53).
Ed anche se Gesù ci ha
chiamato così qualche volta, la nostra identità più profonda Gesù ha scelto di
chiamarci figli di Dio. Infatti, oggi S. Paolo lo dice «Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi, e
camminate nella carità, nel modo che anche Cristo vi ha amato e ha dato se
stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore» (Ef 5,1-2). E
Gesù lo conferma «Io salgo al Padre mio e Padre
vostro, Dio mio e Dio vostro» (Gv 20,17).
Ci sono certi aspetti della
nostra identità che vano visti sotto l’immagine d’essere uno schiavo di Dio o
un soldato per Cristo. Sopra tutto nel mezzo della quaresima, possiamo sentirci
un po’ così, no? Preghiamo di più, essendo attento al tavolo del Signore come
il Suo servo. Prendiamo l’armatura di Dio a fin che possiamo resistere le
tentazioni del diavolo e superare le prove nel digiuno (cf. Ef 6,13). Lavoriamo
come operai nella vigna del Signore, facendo delle opere di misericordia che
sono i Suoi frutti, frutti dello Spirito. Sotto quest’immagini camminiamo nel
deserto di questo periodo, il pellegrinaggio annuale verso la Pasqua e la
risurrezione. Però quest’immagine sono maschere che non toccano la nostra più
profonda identità. Anzi, tutti questi certi aspetti vengano sottomessi a quella
più sincera, d'essere figli di Dio. Il servizio dello schiavo, la fedeltà dello
soldato vano visti nella luce di un figlio carissimo imitando il suo padre che
lo ama.
Si, siamo nati, anzi
rinati nell’acqua e lo spirito (cf. Gv 3,5). Nel battesimo ci mettiamo nel
posto di Gesù, nella Sua persona, ed ascoltiamo la voce del nostro Padre
dicendo «Questo è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto» (Matt 3,17). Riceviamo lo Spirito
d’adozione nella colomba, lo Spirito Santo che abito in noi. S. Paolo ci
ricorda oggi che tutte le nostre opere e sacrifici vengono offerti in questa
disposizione, di carissimi figli, imitando il loro padre che gli ama. Preghiamo
sempre al Padre Nostro. Gesù non ci ha insegnato a pregare in nessun altro
modo. Digiuniamo come un sacrificio al padre sempre nel modo di Cristo in cui
siamo figli, un sacrificio di soave odore. E curiamo i più piccoli figli, i
nostri fratelli e sorelle in Cristo, come famiglia, vedendo la Sua somiglianza
nelle loro facce. È così: quando la Mama pulisce la casa, la figlia carissima
prende la scopa ad aiutare. Quest’è la logica. «Fatevi
dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi, e camminate
nella carità, nel modo che anche Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per
noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore» (Ef 5,1-2).
Poi perché
siamo figli di Dio nel Cristo, siamo eredi nel Suo Regno, S. Paolo parla
dell’eredità che abbiamo nel Regno di Dio e di Cristo. Uno schiavo serva il
patrono per godere del suo rispetto e stima. Un soldato combatte per le spoglie
della vittoria e la gloria d’essere un eroe. Un’operai lavora per guadagnare
gli soldi. Ma il figlio carissimo fa tutto nell’imitazione del Padre, sperando
di diventare grande come il Padre, erede di tutto quello che è.
Noi come figli
di Dio, figli dello stesso Padre di Cristo, siamo eredi del Regno di Dio. Cos’è
il fratello o la sorella di un re? Non è un principe o una principessa? Non
siamo fratelli e sorelle di Cristo Re dei Rei, Signore dei Signori, sopra tutta
la terra e i cieli? Si, e godiamo di questa eredità, cioè la vita eterna nella
preghiera, la fedeltà del digiuno, e le opere d’elemosine. Godiamo di questa
eredità del Regno, essendo e vivendo questa identità dei figli, la dignità dei
reali, principi e principesse.
Nelle Croniche di Narnia, i ragazzi arrivano nel
mondo nuovo, come dicono degli animali, figli d’Adamo ed Eva, uomini e donne
diversi da tutti gli altri. Ma allo stesso, venerati ed onerati da tutta la
creazione (non caduta sotto il dominio della regina mala) come principi e
principesse. Infatti, vengono al vecchio palazzo e vedono dei troni, uno per
ciascuno. Erano eredi di un Regno mai immaginato e pensato, ma durante un tempo
di guerra nella paura di essere sottomessi come schiavi ai Nazi—il tiranno più
bruto nel tutto il percorso della storia—loro hanno trovato e scoperto nella
vita quotidiana, attraverso un gioco nella casa di carino e benevolo padre adottivo.
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